Nell’ultimo decennio si è sentito parlare sempre più spesso di stress e burnout, ma se allo stress sappiamo più o meno tutti dare una definizione, per il burnout ci viene in aiuto il Business Dictionary: “Sensazione di esaurimento fisico ed emotiva, dovuta allo stress derivante dal lavorare con persone in condizioni difficili o impegnative. Il burnout è seguito da sintomi come stanchezza cronica, irascibilità, rabbia, senso di colpa e disistima, suscettibilità a raffreddori, mal di testa, febbri e crisi di panico.”
Ma come siamo arrivati a tutto questo?
Se in tempi molto antichi il lavoro era un’attività propria degli schiavi, mentre ai liberi spettava il compito di coordinare e amministrare, nei secoli vi è stato un cambiamento del pensiero sul lavoro che oggi lo ha trasformato, soprattutto nel mondo occidentale, in uno strumento essenziale sia per integrarsi ed essere apprezzati a livello sociale che per raggiungere l’indipendenza economica e quindi il potere di acquisto. L’identità lavorativa assume un ruolo preponderante rispetto all’identità personale e ciò ha portato, negli ultimi anni, a dedicare al lavoro sempre maggiori spazi che, spinti all’eccesso, hanno generato ricadute negative sulla vita psico-sociale e sulla salute fisica: il “work addiction”.
Secondo un'indagine dell'American Psychological Association, le tre principali fonti di stress tra gli adulti statunitensi sarebbero il denaro, il posto di lavoro e le responsabilità familiari. E’ chiaro che a intervenire sulla capacità o meno di gestire lo stress sono altri fattori quali l’età, lo stato lavorativo, il reddito e l’origine familiare di una persona. Ma uno degli ultimi studi condotti nel 2015 ha riscontrato che sono proprio i Millennials ad avere i più alti livelli di stress di qualsiasi fascia d'età. Quest’ultimo è un dato paradossale visto che pur essendo aumentati i livelli di stress in campo lavorativo, la genetica pare non essere stata al passo coi tempi.
O forse la Natura ha voluto giocare il suo ennesimo scherzo per darci un ulteriore segnale?
D’altronde, secondo la stessa indagine di cui sopra, più di un terzo degli impiegati statunitensi perde una o più ore al giorno in produttività - ovvero quasi 300 ore l’anno! - mentre quasi un terzo perde tra tre e sei giorni all'anno a causa dello stress. Numeri alti, che dovrebbero essere campanello d’allarme per le aziende alle quali viene chiesto di adeguarsi alla richiesta più o meno tacita dei dipendenti. Aziende che oggi diventano competitive attuando programmi di prevenzione del burnout e i successivi programmi di reintegrazione, attività di team building aziendale e health coaching per manager e dipendenti.
I fattori che portano all’esaurimento da burnout differiscono tra diverse popolazioni e individui. Uno di questi fattori, che colpisce alcune popolazioni più di altre, è quello della discriminazione. Sebbene gli Stati Uniti siano una nazione sviluppata e culturalmente mista, continua a lottare con problemi di uguaglianza e discriminazione razziale. Così come in Europa e ancor di più in Italia, dove il suo raggio d’azione raggiunge il genere e i gusti sessuali. Essere omosessuale, in certi ambienti lavorativi, può essere visto ancora oggi come un problema; così come l’essere donna e il dover correre più veloce per raggiungere gli stessi obbiettivi.
In definitiva, sono diversi i motivi che trascinano gli impiegati nel vortice del burnout, ma qualunque essi siano, spetta alle aziende, e ai loro responsabili, mantenere un ambiente aziendale sano e sereno, di modo che il lavoratore non sperimenti mai lo stress da burnout e non perda ore di produttività preziose per il business.